Le videoriprese possono contenere dati personali?
Preliminarmente, è bene da subito ricordare che le immagini riprese con un sistema di telecamere sono equiparate a tutti gli effetti ai dati personali e che, come tali, devono necessariamente rispettare il nuovo Regolamento Europeo Privacy. Ed infatti, i sistemi di videosorveglianza trattando dati come la voce e l’immagine sono da considerarsi, in base alla Direttiva 95/46/CE ed alla normativa italiana, informazioni riferite ad una persona identificata o identificabile .
Tale conclusione è avallata anche dal nuovo GDPR secondo cui per “dato personale” si intende qualsiasi informazione riguardante una persona fisica “identificata o identificabile”.
Con l’espressione “identificabile” ci si riferisce, in particolare, a qualsiasi dato che consenta di individuare la persona fisica, direttamente o indirettamente. Pertanto, è possibile affermare con certezza che le riprese audio/video, consentendo l’individuazione di una persona specifica, debbano essere considerate dati sensibili.
Quali sono i requisiti affinché un sistema di videosorveglianza sia a norma?
Secondo quanto afferma il Garante per la Privacy, un sistema di videosorveglianza è a norma quando rispetta i principi di liceità, necessità, proporzionalità e finalità. In sintesi, attraverso il sistema di videosorveglianza è consentita la registrazione delle immagini se necessarie ad obblighi di legge o per tutelare un interesse legittimo (liceità); le riprese devono limitarsi solamente a ciò che è necessario per raggiungere gli scopi prefissati (necessità); l’impianto va impiegato solo in luoghi dove è realmente necessario, limitando le riprese alle sole aree interessate ed escludendo la visuale su quelle circostanti (proporzionalità); lo scopo della videosorveglianza deve essere esplicito e legittimo nonché limitato alle finalità di pertinenza dei titolari dei dati (finalità).
Il consenso è necessario?
Con specifico riferimento al consenso informato il GDPR ha espressamente definito lo stesso come “qualsiasi manifestazione di volontà libera, specifica, informata e inequivocabile dell’interessato, con la quale lo stesso manifesta il proprio assenso, mediante dichiarazione o azione positiva inequivocabile, che i dati personali che lo riguardano siano oggetto di trattamento” . Risalta immediatamente la scelta di centralità relativa al consenso che il nuovo regolamento compie rispetto, ad esempio, al Codice privacy (D. Lgs. 196/2003), giacché il legislatore UE sceglie di dettare (peraltro tra i primi articoli, dunque nella “parte generale” del Regolamento) una definizione normativa di consenso.
Quanto all’applicazione di quest’ultimo concetto alla videosorveglianza occorre rilevare che esso non risulta essere necessario se questa ha lo scopo di tutelare le persone e i beni da possibili aggressioni, furti, rapine, vandalismi, prevenzione di incendi o sicurezza del lavoro; quest’ultimo, non è neppure rilevante quando lo scopo della videosorveglianza risulta essere quello di controllo dei lavoratori subordinati. In tale ipotesi, il datore di lavoro potrà ricorrere alla videosorveglianza solo mediante accordo con le rappresentanze sindacali o con apposita autorizzazione della Direzione Territoriale del Lavoro.
Al riguardo, la Suprema Corte, ha recentemente affermato che “il consenso o l’acquiescenza del lavoratore non svolge alcuna funzione esimente, atteso che, in tal caso, l’interesse collettivo tutelato, quale bene di cui il lavoratore non può validamente disporre, rimane fuori dalla teoria del consenso dell’offeso, non essendo riconducibile al paradigma generale dell’esercizio di un diritto” .
Tale indirizzo della Cassazione trova conferma nel GDPR, il quale subordina espressamente l’attività di videosorveglianza con finalità di controllo dei lavoratori ad un’autorizzazione delle rappresentanze sindacali o in alternativa dall’ispettorato del lavoro, mediante presentazione dell’apposita richiesta alla Direzione Territoriale del Lavoro. Tutto ciò, poiché il datore di lavoro deve attenersi sia al Regolamento Europeo Privacy sia allo Statuto dei Lavoratori che vieta il controllo a distanza dei lavoratori.
Inoltre, tra gli adempimenti da assolvere prima di installare le telecamere, vi è la nomina tramite un mandato scritto, del Responsabile Privacy e degli Addetti alla Privacy.
Per quanto tempo possono esser conservate le videoriprese? I cartelli informativi sono sempre necessari?
Le registrazioni possono essere conservate in via temporanea e per un periodo massimo di 24 ore successive alla loro acquisizione, fatta eccezione per esigenze particolari legate per esempio a indagini di polizia o richieste giudiziarie.
Tra le altre novità, inoltre, il Regolamento Europeo Privacy su videosorveglianza attualmente in vigore, prevede che i cittadini che transitino in aree sorvegliate, debbano essere informati mediante appositi cartelli sempre visibili; che i sistemi di videosorveglianza installati da soggetti pubblici e privati collegati alle forze di polizia siano, a loro volta, segnalati da uno specifico cartello informativo, e che le telecamere installate ai fini di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, possano anche non essere segnalate.
Il GDPR si applica anche a società che non pongono in essere un’attività con finalità di lucro?
La risposta a tale quesito deve indubbiamente essere positiva considerando che la tutela della privacy prescinde dalla tipologia d’attività posta in essere.
Pertanto, qualsiasi azienda, quindi anche le società sportive dilettantistiche (S.S.D.) o agonistiche, o associazione sportiva che tratta dati personali in Italia o in un altro Paese dell’Unione Europea, è tenuta ad adeguarsi al GDPR.
E’ possibile, quindi, affermare che anche i circoli e le associazioni sportive debbano adeguarsi al nuovo General Data Protection Regulation.
Essi potranno dotarsi di sistemi di videosorveglianza purché vengano rispettati i requisiti previsti dalla nuova normativa che possono così essere sintetizzati:
- Deve essere garantito il diritto all’oblio. Particolare attenzione va posta nell’ipotesi in cui a chiedere la cancellazione delle immagini audio/video sia un minore o un soggetto che al momento delle videoriprese era minorenne.
- Devono essere rispettati i principi di liceità, necessità, proporzionalità e finalità. La videosorveglianza è lecita se è funzionale allo svolgimento delle funzioni istituzionali, quando si tratta di enti pubblici, oppure, nel caso di privati o enti pubblici economici, se sono rispettati gli obblighi di legge (in particolare le norme del codice penale che vietano le intercettazioni di comunicazioni e conversazioni: art. 615 bis c.p.) e il provvedimento del Garante in materia di bilanciamento degli interessi, oppure se vi è un consenso libero ed espresso da parte delle persone riprese dalle telecamere. Il requisito della necessità limita l’uso di sistemi di videosorveglianza ai soli casi nei quali l’obiettivo non può essere raggiunto con modalità diverse, ad esempio utilizzando inquadrature anonime o predisponendo l’impianto in modo che mantenga le riprese solo per il periodo di tempo necessario, con ciò evitando usi eccessivi o sproporzionati. Il principio di proporzionalità obbliga a ricorrere alle telecamere solo come misura ultima di controllo, cioè quando altre misure si siano rivelate insufficienti oppure inattuabili. Non è ammissibile, quindi, l’uso di telecamere solo perché l’impianto è meno costoso rispetto ad altre forme di controllo. Il requisito della finalità stabilisce che chi installa le telecamere può perseguire solo fini di sua pertinenza, cioè può utilizzare le telecamere solo per il controllo della sua attività, ma non può mai utilizzare le telecamere per finalità esclusivamente di sicurezza pubblica, che sono di competenza delle autorità giudiziarie ed amministrative.
- Non è necessario il consenso degli iscritti/tesserati se lo scopo delle riprese è quello di tutelare le persone e i beni da possibili aggressioni, furti, rapine, vandalismi, prevenzione di incendi o sicurezza del lavoro;
- Qualora la finalità sia, anche indirettamente, di controllo dei lavoratori dipendenti è necessaria un’autorizzazione delle rappresentanze sindacali o in alternativa dall’ispettorato del lavoro, mediante presentazione dell’apposita richiesta alla Direzione Territoriale del Lavoro;
- Nei soli casi previsti dalla legge è obbligatoria la nomina di un Data Protection Officer (in tutti gli altri casi tale nomina è facoltativa);
- Se il circolo o l’associazione sportiva ha più di 250 dipendenti deve essere tenuto il registro delle attività di trattamento ;
- Eventuali violazioni della privacy relative a dati personali dovranno essere tempestivamente comunicate alla competente autorità di controllo (entro un massimo di 72 ore dalla scoperta della violazione);
- E’ necessario procedere alla redazione del DPIA (Data Protection Impact Assessment) nei soli casi specificati espressamente dall’art. 35 del GDPR . E cioè, quando un tipo di trattamento, allorché prevede in particolare l’uso di nuove tecnologie, considerati la natura, l’oggetto, il contesto e le finalità del trattamento, può presentare un rischio elevato per i diritti e le libertà delle persone fisiche.
- Particolare attenzione deve essere posta nel caso in cui le videoriprese riguardino i minori di anni 18. In questi casi, è consigliabile – sebbene non espressamente previsto dalla legge – ottenere un consenso da parte di colui che esercita la potestà genitoriale al trattamento dei dati sensibili del minore.
Negli spogliatoi possono essere installate telecamere?
Recentemente mi sono occupato dell’adeguamento di un noto circolo canottieri romano. Durante l’attività di predisposizione della pratica per richiedere l’autorizzazione all’installazione di un impianto di videosorveglianza mi sono imbattuto nella questione riportata nel titolo del paragrafo. In particolare, i vertici dell’associazione mi chiedevano se fosse possibile richiedere l’autorizzazione anche per gli ambienti in cui i soci erano soliti spogliarsi e fare le docce, considerando il fatto che in passato vi erano stati dei furti ai danni dei soci perpetrati dal personale dipendente o, a volte dai stessi soci.
Dopo un’attenta valutazione della questione sottoposta ho dovuto, tuttavia, dare parere negativo. Ed infatti, sebbene vi fosse un’evidente utilità nell’installare le telecamere nei predetti ambienti, qualora una siffatta attività di videosorveglianza venisse consentita, si avrebbe una lesione totale dei diritti dei soci in ambito privacy. Ed infatti, occorre sottolineare che le immagini che ritraggono una persona nuda devono a tutti gli effetti considerarsi dati sensibili e, pertanto, necessitano di una tutela rafforzata.